Meno di zero
“Ci sedemmo dalla
parte del torto
visto che i posti migliori erano già occupati”
visto che i posti migliori erano già occupati”
Bertold
Brecht
Non
esistono posizioni sicure e immutabili.
E quando a
causa della presunzione insita nella nostra natura pensiamo di averle
raggiunte, finiamo per cadere di sotto.
Non
mantieni l’equilibrio restando fermo.
Lo
mantieni muovendoti di continuo.
Del resto,
c’è un solo modo per resistere in piedi su un pianeta che rotola nello spazio:
fare sempre nuovi passi.
Settant’anni
fa, nella primavera del 1933 venne aperto il primo campo di detenzione per chi violava il
Paragrafo 175 del codice penale.
I
condannati portavano un braccialetto giallo al polso. Nel 1940 venne sostituito
con triangolo cucito sul petto. Un triangolo di stoffa rosa.
I
detenuti erano omosessuali.
Stando
al Paragrafo 175, il rapporto tra due persone dello stesso sesso era un crimine
contro la sicurezza nazionale e la morale pubblica.
Quando
le truppe alleate e quelle russe terminarono l’occupazione della Germania, i
campi di concentramento vennero chiusi e i prigionieri liberati.
Tranne
quelli con il triangolo di stoffa rosa cucito sul petto.
Furono
controllati i casellari giudiziari nazisti, e i pochi rimasti vivi vennero
spediti a scontare la pena nelle carceri comuni.
Quando
nel maggio del 1945 venne chiuso l’ultimo campo di concentramento, ventimila
omosessuali erano morti in prigionia.
Non
si riuscì mai a calcolare il numero degli omosessuali ebrei uccisi.
Statisticamente, era intorno ai trecentocinquantamila.
Poi
il muro crollò, la Germania tornò ad essere una nazione democratica e unita; il
Paragrafo 175 del codice penale venne abolito.
Era
il 1994.
E’
impossibile parlare di certi argomenti in questa nazione.
Urlare
sì, litigare pure, ma parlare proprio non ci si riesce. Finisce sempre in una
Guerra Santa di idee contrapposte. Come se non bastasse, una lunghissima crisi
socio-economica sta divorando, oltre ai risparmi, ogni altro argomento. Siamo
tutti concentrati su un organo importante ma tutto sommato periferico del corpo
umano: il portafoglio.
Siamo
così attenti alle sorti dei nostri portafogli che a volte dimentichiamo di
avere anche un cuore, nascosto in qualche tasca segreta.
Noi ci
ritagliamo uno spazio per rendergli giustizia.
Non è
tanto grande, misura sei metri per otto. Se non abbiamo sbagliato a tirare su
le travi, dovrebbe essere alto sette metri e mezzo.
E’ uno
spazio piccolo, e anche scricchiolante, ma è tutto quello che abbiamo.
Sono i
cinquanta metri cubi di legno e gesso in cui decidiamo di uscire allo scoperto,
di fare coming out per mettere i piedi dalla parte sbagliata.
E’
un’atto di lealtà verso i nessuno che sono costretti a fare i conti con la
propria vita in segreto; quelli per i quali i paragrafi 175 non sono stati
aboliti mai. I meno di zero che a furor di popolo hanno cuori che sbagliano.
Fanno
riflettere, questi cuori. Pare che non
valgano niente. Come se fossero fatti di stoffa rosa e non di carne.
E poi sono
pochi, quasi non entrano nelle statistiche, contronatura come il sole di notte
o la neve d’agosto, eppure riescono a mostrare i limiti di quella che viene
comunemente chiamata libertà.
La
libertà non è un metallo prezioso. Se fosse oro, non tutti potrebbero
permettersela. Diventerebbe un privilegio. La libertà deve essere di un
materiale utile ed efficace. Tipo il cartone. In una nazione civile, l’esitenza
dei meno di zero è la dimostrazione che ancora oggi gli uomini non nascono
uguali, ne davanti alla legge, ne davanti a Dio.
Valgono
talmente meno di zero che anche il loro Dio deve per forze essere niente. Non
ha niente da offrirgli, niente per abbracciarli.
Niente nostro, che sei nei niente, niente sia il tuo nome;
niente il tuo regno. Sia fatta la tua Nientità.
Per la
Repubblica Italiana, nel 2013, vale meno di zero l’unione tra una coppia
omosessuale. Non esiste. Non c’è. E se Dio vuole non ci sarà mai.
Meno di
zero, nel 2013, valgono le ultime volontà di un malato terminale, che vorrebbe andarsene da questo mondo con un
po’ di misericordia, e non infilzato nello spiedo dei tubi dell’alimentazione
forzata, a rosolare al fuoco lento dell’agonia.
Nel 2013,
per la Repubblica Italiana, valgono meno di zero i sogni delle ventimila coppie
sterili che ogni anno sono costrette a fuggire all’estero, in clandestinità,
con la speranza di diventare genitori.
L’esistenza
è già di per se una serie di operazioni complicate in cui è difficile fare
tornare i conti: per quelli che valgono meno di zero, è impossibile.
Sarà
perchè non siamo stati attenti alle lezioni di matematica alle elementari, ma
anche i nostri conti sono tutti sbagliati.
Crediamo
che dividere gli esseri umani in base alla loro sessualità sia un modo stupido
di intendere la vita, come lo sarebbe dividerli per il colore dei loro capelli
o per il loro peso, e sbagliamo.
Sbagliamo
pensando che moltiplicare gli sforzi sia l’unico modo per crescere, piuttosto
che starsene fermi e schifati tra le parentesi della propria casa.
Sbagliamo
i conti credendo che la vita ci appartenga, che ne subiamo le ferite e ne
portiamo addosso per sempre le cicatrici, anche quando sta per finire: e
sottrarsi al mondo con un poco di pietà, con il lume della ragione ben acceso,
sia meglio che farlo infarciti di tubi e di morfina.
Sbagliamo
i conti credendo che la sterilità peggiore sia quella di certi cervelli, e non
degli organi riproduttivi, quando condannano all’aridità il grembo di una
donna, come se non poter generare figli fosse una volontà divina e non una
malattia.
Sbagliamo
credendo che uno più uno non possa fare solo qualcuno.
Uno
più uno fa tutti.
Questi
sono i nostri errori.
Questa
è la nostra dignità.
(Ps:
tra tutti i sopravissuti all’olocausto, i prigionieri omosessuali sono gli
unici a cui la Germania si è sempre rifiutata di riconoscere un risarcimento. L’ultimo è morto nel 2011, a Parigi. Si
chiamava Rudolf Brazda. Nessuna giustizia per loro. Mai più.)
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