2012

Continenti scomparsi


Il reddito medio pro capite di questo continente è ancora molto alto, anche se ci sono sempre più persone in giro che vorrebbero sapere di preciso in quale sportello lo pagano.
Qualcosa però sta davvero affondando, perchè un po’ di cose stanno andando sottosopra; i lupi vengono messi di guardia all’ovile e la guerra alla povertà è diventata la guerra ai poveri.
I numeri se la passano meglio della gente; loro avranno un posto nei libri di storia universale, noi qualche trafiletto nella cronaca nera locale.
La voce di chi comanda non è più modulata per spiegare, ma per nascondere: chiamano sacrifici l’elemosina che stiamo elargendo  a chi ha già tutto.
Quando ce li chiedono dovrebbero avere almeno il coraggio di togliersi gli abiti di sartoria e indossare le tonache degli antichi sacerdoti, perchè per sacrifici intendono quelli umani; e visto che del nostro cuore non hanno mai saputo che farsene, preferiscono colpirci al portafoglio, un metodo altrettanto infallibile quando si vuole dissanguare qualcuno.
E’ la famosa divisione internazionale del lavoro: pochi incassano i profitti, tutti gli altri forniscono le vittime.
Recitiamo il ruolo di pezzi di carne a meraviglia.
Da molto tempo abbiamo accettato che le persone seguissero il destino degli oggetti: lanciati sul mercato dei consumi, sempre nuovi e facili da usare.
Il sudore del nostro lavoro trattato come una merce: da spremere e liquidare alla prima occasione quando non serve più.
Come ogni buon azionista di minoranza, siamo stati diligenti complici silenziosi.
Abbiamo esercitato un solo diritto: quello di vedere, ascoltare e tacere, mentre le cose diventavano il fine ultimo della creazione.
Tanta fatica per staccare come dividendo un mucchio di cianfrusaglie.
Tra i nostri splendidi sogni fatti di Paesi della Cuccagna e la spicciola pratica quotidiana, lasciamo sempre troppa luce, varchi sconfinati in cui continiuamo a perderci.
Così ci tocca affondare; in un mare di paccottiglia.
2400 anni fa, mentre l’antica Atene si avvitava in una crisi economica e sociale senza fine, il suo filosofo più importante, Platone, prese a raccontare di un’isola perduta, sprofondata negli abissi nel volgere di una notte.
La cupidigia segnò la fine di quel continente; la ricerca della perfezione attraverso la ricchezza non ha mai portato bene agli esseri umani, si raccomandava Platone; l’agio assoluto è una noia che dovremmo imparare a lasciare agli dei.
I suoi concittadini  non ci prestarono molto caso.
Si trattava del resto di uno strano signore che per vivere inventava delle favolette; loro avevano lavori importanti da portare avanti, roba da uomini seri: commerci,  edificazione di nuovi palazzi, guerre.
Platone raccontò invano, e nel giro di pochi anni la sua Atene seguì la sorte di quell’isola scomparsa.
Atlantide, si chiamava.
Ad ingoiare Atene però non furono le onde di un oceano, ma un mare di fuoco e di miseria.
2400 anni dopo, guardando cosa sta accadendo in quella stessa città, viene da pensare che il passato non dica mai ‘addio’ ma ‘arrivederci’.

C’è una beffarda uniformità nel destino degli uomini. Le nostre vite sembrano svolgersi secondo cicli immutabili, come le maree.
I desideri non si avverano mai e non appena incominciano a fare acqua, comprendiamo all’improvviso che le gioie maggiori sono al di fuori della realtà.
Non appena li vediamo affondare, ci consumiamo di nostalgia per il tempo in cui  brulicavano dentro di noi.
La nostra esistenza scorre in questo eterno naufragio di speranze e rimpianti.
Noi siamo già sopravissuti a un continente scomparso.
Qualcuno lo ricorda?
Aveva un suono tutto suo e un’ accordatura particolare in cui le cose accadevano diversamente.
Era un luogo in cui non accendavamo mai niente: a tutto ci davamo la molla.
Da piccoli non ci si limitava a giocare; laggiù, facevamo le meraviglie.
Eravamo bravissimi a fare delle meraviglie, in quel continente.
Non eravamo tanto ricchi ma non ci facevamo molto caso, visto che nessuno in casa ero così serio da occuparsi di cose come il prodotto interno lordo o il reddito medio pro capite.
C’era una dignità, nella nostra ingavagnata imperfezione; forse perchè avere poco non era ancora un crimine.
Popolavamo Atlantide.
Poi ci siamo dedicati a cose più importanti, e non c’è bastata più.
Dall’abisso in cui è scomparsa, sopravvive solo nell’eco delle nostre voci meticcie, nelle nostre strane parole di adulti coniugati in italiano al presente ma che sono nati in dialetto nel passato remoto.
Come le favolette di Platone, pare abbiano qualcosa da dirci.
Di fronte alle delusioni e alle difficoltà di questi anni, ci chiediamo come tutto questo possa accadere proprio a noi, come abbiamo fatto a cascarci così.
Noi che ci davamo la molla e facevamo meraviglie tutto il giorno, noi gliela avremmo fatta vedere a tutti quanti come si fa a sgavagnarsela da Atlantide.








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